Intervento in Aula dell’On. Aurelio Misiti sul Progetto di legge: 2561

22 luglio 2009

camera-deputati“Conversione in legge del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali” (2561)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, sono veramente preoccupato per una questione che non viene più nemmeno citata.
Siamo qui a discutere di un ulteriore decreto-legge, ma nessuno più protesta perché si va avanti con un ulteriore decreto-legge e ciò vuol dire che ci siamo assuefatti. Si tratta di una normativa che poteva benissimo rientrare in un disegno di legge ordinario, c’era tutto il tempo, fa parte di una serie di altri decreti-legge che abbiamo convertito in legge; praticamente costituisce un pezzo di finanziaria, che purtroppo non dura più da settembre a dicembre, ma dura tutto l’anno.
È evidente che si tratta di un decreto-legge, su cui, per di più, si pone la fiducia. Ci troviamo alla ventitreesima fiducia; forse, se ci fossimo trovati alla terza fiducia, avremmo sollevato enormi proteste. Oggi, invece, tutti tranquilli e nessuno accenna a questa modalità di formazione delle leggi, che, secondo me, è quasi un’abdicazione rispetto al nuovo uso di fare le leggi a Palazzo Chigi, e non più in quest’Aula e nell’Aula del Senato.
È chiaro che qui facciamo una discussione che potrebbe sembrare inutile, eppure è necessaria, perché dobbiamo mandare anche il messaggio al Paese che non tutto è perduto in questa Italia, che è necessario che il Parlamento funzioni e che, in qualche modo, anche le opposizioni possono dare un contributo al miglioramento della vita dei cittadini.
In altre parole, oggi ci troviamo di fronte ad un ulteriore decreto-legge, che esprime una condizione della nostra classe dirigente di Governo, che è quella del governare alla giornata.
Ricordo un anno fa, in quest’Aula – anzi, meno di un anno fa, perché era verso la fine di luglio – quando si è presentato il Ministro dell’economia e delle finanze: era venuto con una scimitarra contro le banche, dicendo che erano loro che dovevano pagare, perché avevano guadagnato troppo e guadagnavano troppo. Non aveva intuito minimamente che stava per crollare il mondo; addirittura, si era inventato la famosa Robin tax.
Ebbene, man mano si è andati avanti con collegati alla finanziaria, con nuove finanziarie, con mini finanziarie; è passato un anno e abbiamo continuato a lavorare alla giornata, a modificare leggi che erano state approvate il mese precedente, scegliendo veramente un lavoro non di prospettiva e senza avere la barra dritta verso il superamento della crisi economica, che pure, già allora, si cominciava a intravedere dal punto di vista finanziario.
Come si è affrontato tutto questo? Si è affrontato con un susseguirsi di «norme annuncio». A cosa portano queste «norme annuncio»? I cittadini, certamente, sono indotti a credere che tutto sarà risolto; per esempio, è tutto risolto nella politica della casa.
Eppure, questo annuncio delle 100 mila abitazioni è un semplice annuncio, perché si dice contemporaneamente – lo ha dichiarato questa mattina il sottosegretario Mantovani – che adesso ci attendono 90 giorni per trovare le persone che costituiranno un gruppo di lavoro che dovrà stabilire le regole. Signori miei, possibile che, prima di annunciare un Piano casa, non facciamo le regole, non abbiamo le regole? Il Piano casa deve scattare domani, perché i cantieri si devono aprire dopodomani, non fra un anno o un anno e mezzo.
Come si fa a superare la crisi? Come si fa a uscire dal pantano di 5 o 6 punti percentuali sotto il livello dell’anno scorso e ad andare sopra lo zero, se si affronta la crisi nel settore delle costruzioni con questi tempi?
Forse qualcuno pensa di affrontarla con le grandi opere: ancora peggio, perché le grandi opere hanno dei tempi di attuazione molto più lunghi. E allora evidentemente si inventano degli effetti-annuncio, che accontentano la popolazione; ma ritengo che, purtroppo, l’Italia è fatta di piccole e medie aziende, ma è fatta anche da partite IVA, che si sveglieranno a settembre, ritorneranno dalle vacanze e non avranno più un lavoro. È questo il dramma del nostro Paese.
E allora bisognerebbe intervenire solo in questa direzione, e non nel senso indicato dall’ulteriore decreto-legge in esame. Questo metodo è a mio avviso esecrabile, è un andare in barca senza nocchiere, è qualche cosa che ogni giorno dobbiamo cambiare, dobbiamo mutare. La proposta alla nostra attenzione presenta degli aspetti estremamente negativi di carattere generale, che sono stati messi in luce da numerosi interventi dell’opposizione, sono stati messi in luce nelle Commissioni riunite V e VI, e sono stati messi in luce dai colleghi di Italia dei Valori, del PD e dell’UdC.
Non mi soffermo quindi sulle questioni generali. Vorrei soltanto soffermarmi e puntare l’obiettivo su alcuni aspetti particolari che mi sembrano proprio essere omogenei a questo vivere alla giornata. Non è che sono cose poco importanti: sono aspetti che definisco particolari, ma particolari con la «p» maiuscola. Si tratta dell’energia, degli impianti energetici, si tratta delle infrastrutture, si tratta dei trasporti, e si tratta delle regole degli appalti pubblici.
È vero che sono state annunziate molte iniziative: adesso abbiamo avuto il DPEF infrastrutture, che è un’ennesima ripetizione dei DPEF infrastrutture degli anni passati, senza quasi nessuna novità; però alcune decisioni vengono prese, e sono effettivamente decisioni un po’ assurde. Noi vorremo contribuire invece al miglioramento dei testi delle leggi, vorremmo contribuire alla semplificazione delle leggi stesse, ma la nostra buona volontà viene frustrata proprio da queste modalità occasionali di affrontare questioni di carattere generale.
Signor Presidente, sono convinto che le semplificazioni normative vadano fatte. Voi immaginate che nel decreto-legge anticrisi viene inserita una rilevante modifica al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, il cosiddetto codice degli appalti; ma non si è pensato piuttosto di andare incontro alle esigenze, per esempio, dei comuni, delle piccole stazioni appaltanti, i quali si trovano già di fronte ad un codice di 257 articoli, con un regolamento che ancora non è stato definito, composto da oltre 300 articoli, che insieme ai già tre decreti correttivi del codice supereranno la soglia di mille articoli?
Colleghi, si pensi a un comune di 5 o 10 mila abitanti come stazione appaltante: il tecnico di questo piccolo o medio comune – che fra l’altro si è visto levare da voi gli incentivi a impegnarsi e a far impegnare i suoi colleghi – ma anche gli amministratori e i sindaci, sia pure con responsabilità solo politiche, come possono lavorare con una bibbia di oltre mille articoli? Era su questo che bisognava intervenire. E invece no: stiamo complicando anche questo. Dobbiamo invece ridurre e semplificare drasticamente questi aspetti, eliminando i lacci dalla pubblica amministrazione. Tra l’altro, questo induce, per le grandi opere, a nominare commissari, poiché i commissari derogano a tutto e tutto va a posto (citerò qualcosa in proposito), mentre, per le piccole opere, induce comuni o province a richiedere consulenze e dunque a sprecare i soldi pubblici. Ma evidentemente questi sprechi sono omogenei con l’indirizzo generale di questa maggioranza di Governo. Spesso questo tipo di impostazione, questa mancanza di capacità di semplificazione, porta all’illegalità diffusa. Ecco perché sarebbe stato più giusto intervenire per semplificare che non complicare, come invece si sta facendo.
Per quanto riguarda, ad esempio, la riduzione dei tempi, in questo decreto vi sono norme che si concentrano sulla riduzione dei tempi di presentazione dei progetti. Anche a tralasciare gli errori che si fanno (ad esempio, si prevedono trenta giorni per un progetto esecutivo e quarantacinque per un definitivo, senza considerare che il progetto definitivo sta all’interno dell’esecutivo, viene prima), non si comprende che se il progetto è fatto bene l’opera si realizza in un tempo enormemente più breve, senza sprechi e senza possibilità di costituire quei fondi neri che probabilmente sono lo scopo finale.
Pensate ad esempio che per agevolare il tutto – magari in buona fede – si prevede che le offerte anomale non si devono più trattare come prima (prima si trattavano separatamente: si esaminava la prima, si valutavano le giustificazioni e se erano valide si procedeva con l’assegnazione); adesso si arrivano ad esaminare comparativamente fino a cinque offerte anomale. Ma perché? In questo modo non semplificate e non risparmiate niente, anzi, così si può soltanto incentivare l’accordo fra le imprese. Che cosa dice l’Antitrust? È chiaro che vi saranno accordi intorno al tavolo delle imprese che gestiscono i vari appalti nello stesso territorio. Questo è veramente un errore. È veramente un errore credere a questa riduzione dei tempi imposta per legge: la riduzione dei tempi imposta per legge è impossibile. Ecco perché sarebbe necessario invertire questa rotta.
Per quanto riguarda l’energia – cito la questione energetica perché ha prodotto anche polemiche interne al Governo – la semplificazione consisterebbe nella nomina di commissari straordinari di Governo per la realizzazione degli impianti. Ciò quindi vuol dire che il Ministero dell’ambiente non avrà niente a che fare con la valutazione di impatto ambientale di quegli impianti e che si realizzeranno gli impianti senza un’adeguata valutazione da parte delle strutture dalla legge messe a disposizione del Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare. E credo bene, dunque, che il Ministro dell’ambiente abbia protestato duramente e riponga speranze nel maxiemendamento, ma vorrei tranquillizzare il Ministro Prestigiacomo: non potrà essere accolto, perché questa è una scelta precisa.
In Italia abbiamo il commissariamento di tutto, qualunque grande opera è commissariata: per l’Expo 2015 a Milano già da adesso hanno pensato al commissario, per l’avvenimento delle Olimpiadi invernali c’è il commissario ad acta, così come c’è il commissario per le Universiadi. Vengono fatti con anni ed anni di anticipo, perché questo significa eliminare la normativa o derogare alla stessa e fare gli appalti senza l’evidenza pubblica: questo è il gioco. Ma non è vero che si risparmia il tempo nemmeno così, perché restano in vigore tante altre norme, soprattutto nel diritto penale, che poi bloccano le realizzazioni stesse, con effetti anche sulle persone che spesso si assumono questi carichi.
Ciò che ora vi dico riguarda un caso molto importante: quando il progetto, l’appalto e i lavori sono fatti bene il costruito resiste anche all’azione sismica. A L’Aquila due sono le strutture che hanno resistito: quella della scuola della Guardia di finanza (che è stata progettata, diretta, costruita e collaudata bene) e l’ospedale (che è stato progettato bene ed ha resistito in base ad un progetto ottimo, anche se quello della scuola della Guardia di finanza era ancora migliore). Tutte le altre opere, che sono state eseguite con sistemi per così dire arronzati, non hanno resistito e quindi hanno provocato ciò che hanno provocato (basti pensare alla casa dello studente). Tali questioni sembrerebbero secondarie ma non lo sono, perché riguardano la vita dei cittadini e, se volete, l’eliminazione degli sprechi.
Come sappiamo, noi interveniamo sempre dopo gli effetti di un disastro naturale e mai prima. Quanto sarebbe stato utile in questo momento investire sull’adeguamento sismico di tutti gli edifici strategici: questo sarebbe stato un investimento che avrebbe provocato un’enorme quantità di occupazione nuova ed immediata, ma non si ha la cultura di interventi di questo tipo. È chiaro quindi che tutto ciò non può essere fatto perché si pensa ad altro, si pensa al giorno per giorno e non si ha una politica di prevenzione.
Anche per ciò che concerne le scelte relative all’ENAC e all’ENAV, che hanno due tipi di organizzazione, si tolgono soldi all’ENAC per passarli all’ENAV.
Signori, stiamo attenti: il presidente Riggio e il direttore generale Manera, durante un’audizione nella IX Commissione, ci hanno detto che all’ENAC vi sarebbe bisogno di ulteriori risorse, per poter affrontare adeguatamente il problema dei controlli, che non possono esser fatti secondo gli standard, per mancanza di ingegneri esperti. Ebbene, noi togliamo i fondi all’ENAC per passarli all’ENAV; tappiamo un buco scoprendone un altro. Inoltre, con quei fondi si deve badare alla sicurezza degli aeroporti e anche a quella delle stazioni ferroviarie, che non c’entra veramente nulla con la prima. Questa scelta è veramente assurda. Ci rendiamo conto di quanto sia sbagliata questa linea? Di quanto non regga? Queste misure hanno anche effetti sulla sicurezza delle costruzioni e dei cittadini che si muovono, che vanno in aereo e in treno.
Noi abbiamo cercato in tutti i modi, con i nostri emendamenti, di migliorare questo testo. Ci è stato assolutamente impedito da una posizione aprioristica che non avremmo voluto vi fosse. I tempi ci sarebbero stati per una discussione ampia e per un contributo maggiore, come quello che abbiamo fornito in quei pochi casi nei quali abbiamo potuto discutere nelle Commissioni riunite. Avremmo potuto dare un contributo maggiore. Avremmo potuto migliorare un testo, soprattutto se fosse stato di iniziativa parlamentare, un progetto di legge della maggioranza, così come abbiamo fatto brillantemente nella Commissione trasporti in cui, in sede legislativa, abbiamo approvato una riforma del codice della strada che, sebbene parziale, è importantissima.
Tutto ciò si poteva realizzare anche su questo provvedimento, perché in fondo ci troviamo su un terreno analogo, relativo alla sicurezza dei cittadini. Probabilmente ce l’ho con i commissari, che non ritengo idonei a risolvere alcun problema: abbiamo visto che i commissariamenti, ad esempio sull’ambiente, sulla sanità, non risolvono alcun problema. Da queste norme è previsto, addirittura, il commissariamento per sessanta giorni dello Stretto di Messina. L’amministratore delegato della società diventa commissario per derogare alle leggi, per non applicare le leggi sugli appalti (è per questo che si nomina il commissario, altrimenti che bisogno c’era di un commissario?). Voi credete che un commissariamento di questo genere non venga poi contestato dalle aziende, dall’ATI, dal general contractor, allorché si tratterà di stabilire quanti soldi devono dare per aver superato così poco brillantemente le norme vigenti? Attenzione, dopo sessanta giorni il commissario non avrà applicato le leggi, ma avrà deciso lui, come se la controparte fosse formata da personale che non capisce, riferendo solamente al Ministero e al CIPE. Siamo impazziti? L’Antitrust si dovrebbe mobilitare.
C’è una norma sulle aziende pubbliche locali di trasporto da brividi: addirittura impone che almeno il 10 per cento dei servizi devono essere affidati a terzi, mentre il 90 per cento può essere affidato in house, senza evidenza pubblica. Signori, queste sono cose che evidentemente solo un Paese africano o sudamericano può portare avanti. Non possiamo certo portarle avanti noi, in un Paese in cui esiste l’Antitrust, dove si parla ogni giorni di concorrenza da sviluppare. Abbiamo veramente toccato il fondo. Ecco perché ho voluto ricordare questi argomenti che sembrano secondari e che nessuno ha citato, e pochi riflettono sugli effetti che i suddetti possono avere sulla vita di ogni giorno e anche sull’economia. Infatti, ne discuteremo proprio quando esamineremo il Documento di programmazione economico-finanziaria, visto che c’è questo Allegato infrastrutture che dobbiamo vagliare fino in fondo, perché vorremmo in qualche modo contribuire a realizzare qualcosa e non annunciare che realizzeremo qualcosa (lo ripeto: noi vorremmo invece realizzare qualcosa).
Se la maggioranza e il Governo intendono fare questo, allora accettino anche il contributo dell’opposizione e probabilmente il contributo sostanziale anche degli enti locali, delle regioni e dei grandi comuni soprattutto, che sono quelli più interessati a che la crisi non travolga l’Italia. Non si arrivi ad un milione di disoccupati. Ma gli enti locali, i piccoli comuni, l’industria delle costruzioni possono assolutamente intervenire per ridurre al minimo e per accendere i motori della ripresa. È successo sempre così nel mondo e succederebbe così anche in Italia se la nostra classe dirigente governativa avesse una concezione diversa, più aperta, della situazione italiana, più prospettica, e se avesse un obiettivo da raggiungere. Ma non mi pare che con questi decreti-legge, scritti giorno per giorno e senza una strategia, e con la tattica di Tremonti si possa andare molto lontano.



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