Gazzetta del Sud – 4 marzo 2009
di Aurelio Misiti
Premetto di essere favorevole a ogni iniziativa tesa a far crescere la mia regione, la Calabria, economicamente, culturalmente e socialmente, e pertanto, salvaguardando la incolumità delle preziose statue, che non appartengono a Reggio o all’Italia ma all’umanità, non vedo ostacoli alla loro esposizione temporanea in luoghi diversi dalla loro casa museale della nostra città. Quindi non posso pensare che a qualcuno possa essere venuto in mente di scambiare i Bronzi alla Maddalena con l’istituzione dell’Area e poi della città metropolitana di Reggio Calabria. Quest’ultima questione è dibattuta dagli anni ’60 e «in primis» se ne è occupato, con una visione molto ampia, l’allora senatore della Dc Nino Calarco. Egli auspicava una grande città dello Stretto e in quella ottica molti sostennero la necessità di un migliore collegamento tra le due sponde.
Oggi è arrivato il momento di riprendere il tema nell’ambito dell’imminente federalismo fiscale, che è destinato a modificare i rapporti tra i Comuni e le Regioni, comprese quelle a Statuto speciale. Alcuni deputati hanno presentato un emendamento (prima firmataria Maria Grazia Laganà) all’articolo 22 del testo approvato dal Senato, che io stesso ho incoraggiato, per istituire l’Area metropolitana di Reggio Calabria. Quello che non mi ha convinto del tutto però è l’argomentazione a base dell’emendamento, che si porrebbe l’obiettivo non di riconoscere una sola area tra le due sponde ma di procedere all’istituzione di due separate città metropolitane intorno ai due capoluoghi. Viene previsto quindi un consorzio tra le due città, che, a mio parere, non faciliterebbe il processo ma rinvierebbe «sine die» la realizzazione del «sogno» di fondare una grande città metropolitana dello Stretto come centro vitale e dinamico tra i più importanti dell’intero Mediterraneo.
Un consorzio del genere si può fare anche adesso tra le due città, se lo scopo è solo quello di portare a «un rapporto speciale, se non esclusivo, in numerosi ambiti quali, ad esempio il sistema dei trasporti, la gestione integrata del ciclo dei rifiuti, il commercio, il turismo la valorizzazione e la fruizione dei beni culturali, il sistema universitario integrato» e ancora «sedute congiunte dei consigli comunali di Reggio e Messina». Il consorzio, secondo chi sostiene il processo graduale di lungo termine, dovrebbe portare addirittura a un incremento del Pil delle due regioni attraverso «le potenzialità del porto di Gioia Tauro e dell’aeroporto Tito Minniti: il sistema dei trasporti e della logistica di Messina e Villa S. Giovanni». Sarebbero cose nuove? Solo in una generica e lontana prospettiva (fra quanti anni: trenta o cinquanta)? si potrebbe arrivare a un’unica città metropolitana dello Stretto. E perché non ora?
È naturale che un progetto così ambizioso troverà numerosi e spesso apparenti ostacoli formali per il diverso status giuridico dei due territori ma, da una parte la Regione Sicilia con la sua autonomia e dall’altra lo Stato, saranno certamente in grado di trovare le soluzioni tecniche per giungere a un risultato positivo. D’altronde il Parlamento è sovrano e può modificare anche la Costituzione. Questo sì che può essere «scambio alto e ambizioso» tra il nuovo federalismo e la politica di incentivazione verso il Mezzogiorno.
A tal fine e in questa ottica razionale ho presentato, assieme ad altri deputati di quasi tutti i partiti, un emendamento al federalismo fiscale che consentirà, se approvato, l’immediato riconoscimento dell’Area metropolitana dello Stretto, e quindi la possibilità di creare la corrispondente città metropolitana. Si costituirebbe così una grande metropoli unitaria, capace di produrre una spinta sostanziale dello sviluppo, sognato dagli uomini più illuminati delle due sponde.
Si avviino subito i colloqui tra le due città e le due province e ci si unisca tutti, visto che l’obiettivo finale è lo stesso. Non ci sarà più un’occasione così favorevole, essendoci anche la buona predisposizione del presidente Raffaele Lombardo e del presidente Giuseppe Bova. In fin dei conti il federalismo padano qualche piccolo prezzo lo dovrà pure pagare!