Signor Presidente, ho già riferito in Aula sull’Ilva e cercherò di evitare di ripetere cose che dovrebbero essere già note, anche se devo dire che leggo dichiarazioni che hanno come riferimento vicende che non riguardano sicuramente l’Ilva di Taranto e interpretazioni di fatti che sono pubblici e che, purtroppo, mi costringono a ripuntualizzare alcune delle questioni aperte, in maniera molto breve, ma vi chiedo di avere un attimo di attenzione e di pazienza.
L’ Ilva di Taranto è stata sottoposta, per iniziativa di chi vi parla, alla revisione della procedura di autorizzazione integrata ambientale, rilasciata il 4 agosto 2011 dall’allora Ministro Prestigiacomo, di concerto con il presidente della regione Puglia e con gli altri Ministri competenti ai sensi della legge.
Ho riaperto la procedura di autorizzazione dopo che l’8 marzo 2012 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea la decisione della Commissione europea che ha indicato le migliori tecnologie disponibili da impiegare nel settore della siderurgia a livello europeo per assicurare la protezione dell’ambiente e la protezione della salute.
Secondo la decisione della Commissione europea, queste tecnologie vanno applicate a partire dal 2016, ma, avendo ricevuto, nel febbraio 2012, da parte del procuratore capo della Repubblica di Taranto, il dottor Sebastio, le perizie epidemiologica e chimico-fisica ordinate dalla procura sullo stabilimento di Taranto – perizie arrivate al Ministro nel febbraio 2012 – e avendo ricevuto dalla regione Puglia una lettera che comunicava gli ultimi dati sulle concentrazioni in atmosfera di benzo(a)pirene, una sostanza chimica pericolosa cancerogena sicuramente prodotta dalle attività dello stabilimento Ilva di Taranto, ho disposto la revisione e il riesame della procedura di autorizzazione integrata ambientale, al fine di adeguare le prescrizioni dello stabilimento Ilva di Taranto ai migliori standard e alle migliori tecnologie disponibili indicate dalla Commissione europea, ancorché in anticipo di quattro anni rispetto alla scadenza stabilita dalla Commissione europea stessa.
A questo punto, abbiamo avviato la procedura di riesame a metà marzo del 2012. Il 25 luglio 2012 – perciò ben dopo l’avvio della procedura di riesame – con ordinanza del GIP di Taranto, su proposta della procura, è stato disposto il sequestro degli impianti dell’area a caldo dello stabilimento, con la motivazione del rischio ambientale incombente determinato dalle attività dell’area a caldo di Taranto, che era oggetto del riesame dell’autorizzazione integrata ambientale.
Perciò, la sequenza è questa: il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare decide la riapertura della procedura di autorizzazione integrata ambientale a metà marzo 2012 e il 25 luglio 2012 il GIP di Taranto decide il sequestro degli impianti. Il tribunale del riesame, poi, modifica in parte le decisioni del GIP.
Noi abbiamo continuato la nostra attività: ho avuto anche un lungo incontro con il procuratore capo della Repubblica, manifestando la massima disponibilità alla collaborazione. Abbiamo chiuso, in tempi molto brevi, la procedura di autorizzazione integrata ambientale, recuperando nelle prescrizioni che abbiamo dato tutti gli obiettivi e tutte le indicazioni che erano stati forniti dal GIP in merito alla sicurezza degli impianti e al raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale.
Queste prescrizioni sono state ulteriormente rafforzate con alcune indicazioni tecnologiche puntuali e con la previsione di attivare un sistema di monitoraggio e di valutazione del danno sanitario in relazione alle emissioni inquinanti.
La procedura è stata chiusa il 26 ottobre 2012 e l’autorizzazione integrata ambientale è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 27 ottobre 2012.
Abbiamo richiesto ad Ilva, in base alla procedura, di presentare il piano degli interventi per rispettare le prescrizioni previste nella procedura di autorizzazione, che prevedono il risanamento progressivo degli impianti dell’area a caldo (cokerie, altoforno e agglomerato) sulla base di un indice di priorità finalizzato a rendere immediatamente eseguite le attività più urgenti per salvaguardare la salute dei lavoratori e della popolazione.
Inoltre, le prescrizioni riguardano anche il parco minerario di Taranto, che ha un’estensione di 72 ettari – il parco minerario di questo tipo più grande al mondo – finalizzate ad allontanare i margini del parco dal confine, che è contiguo con il quartiere Tamburi (cresciuto attaccato all’Ilva, con autorizzazioni rilasciate dal comune di Taranto e che hanno portato questo quartiere in vent’anni a crescere da 6 mila a 23 mila abitanti), parco geominerario – confinante con il quartiere Tamburi – autorizzato anch’esso, nella sua espansione e nel suo allargamento, dalle autorità competenti locali negli anni precedenti.
Dunque, siamo intervenuti su una situazione legittimamente costituita sulla base delle leggi, ma assolutamente irrazionale dal punto di vista della protezione dell’ambiente e della salute, per fare in modo che i margini del parco venissero allontanati almeno di 80 metri dal quartiere Tamburi, mentre il quartiere stesso è oggetto delle misure previste dal decreto-legge per Taranto, che prevedono investimenti immediati per il risanamento di quel nucleo abitato.
Questo è il pacchetto delle misure che abbiamo inserito nell’autorizzazione integrata ambientale e che fanno tutte riferimento all’uso delle migliori tecniche disponibili indicate dalla Commissione europea l’8 marzo 2012.
L’Ilva ha presentato il piano degli interventi, che è stato osservato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ossia abbiamo presentato delle nostre osservazioni e valutazioni, chiedendo che venisse migliorato. Il piano è stato migliorato ed è stato considerato adeguato alle prescrizioni dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, congiuntamente al Ministero dello sviluppo economico, al Ministero della salute, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, alla regione Puglia, alla provincia e al comune di Taranto e al comune di Statte.
Questo piano di interventi comporta, secondo valutazioni dell’Ilva, ma anche secondo le nostre valutazioni, investimenti per circa 3 miliardi di euro. Il piano degli interventi è stato presentato da Ilva e l’impegno è quello di investire le risorse necessarie per realizzare il risanamento dello stabilimento secondo le prescrizioni che abbiamo dato.
Voglio sottolineare che questo fatto non era per nulla scontato. Negli anni scorsi, fino alla riapertura della procedura, Ilva aveva sempre contestato le prescrizioni presso il TAR, ottenendo, fra l’altro, risultati positivi, nel senso che il TAR generalmente le ha dato ragione. Ilva contestava le prescrizioni che venivano date, perché le considerava troppo stringenti rispetto alle normative europee, e aveva anche contestato la mia disposizione di riapertura della procedura di autorizzazione a metà marzo.
Ilva non ha presentato nessuna contestazione. Ha accettato, con un documento approvato dal suo consiglio di amministrazione, il piano di interventi relativo alle prescrizioni che abbiamo dato.
Tutto questo (la nostra autorizzazione del 26 ottobre e l’approvazione del piano degli interventi il 15 novembre) ha portato, secondo un percorso logico, a predisporre l’organizzazione, da parte del Ministero, che deve vigilare sulla realizzazione degli interventi, di un sistema di monitoraggio che doveva essere efficace da lunedì scorso, cioè dal 26 novembre, perché il 26 novembre dovevano avere inizio nello stabilimento di Taranto le operazioni di risanamento ambientale stabilite sulla base dell’autorizzazione integrata ambientale.
Invece, il 26 novembre la procura della Repubblica e il GIP, accogliendo la richiesta della procura della Repubblica, hanno disposto il sequestro dell’area a freddo dello stabilimento, ovvero hanno disposto il blocco delle attività a valle dell’area a caldo, che da un punto di vista tecnico vuol dire il blocco delle attività di produzione.
È come – per spiegarmi – se avessimo un impianto di imbottigliamento dell’acqua minerale con le bottiglie che girano nel binario di caricamento e l’acqua che non viene. Sostanzialmente l’intervento sull’area a freddo blocca lo stabilimento, ovvero blocca la possibilità che vengano avviate le iniziative stabilite dall’autorizzazione integrata ambientale per il risanamento dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto.
Questo è quello che si può descrivere in due parole. I dettagli sono molti, ma insomma è per essere molto sintetici.
Questa situazione ha degli effetti importanti dal punto di vista ambientale, perché, per esempio, ritarda tutti gli interventi già previsti per eliminare ora, cioè nel mese di novembre e nel mese di dicembre 2012, le sorgenti di rischio più immediate, per chiudere un altoforno che doveva essere chiuso e per cominciare a chiudere alcune delle batterie della cokeria. Infatti, nella nostra autorizzazione integrata ambientale sono individuate, in maniera puntuale, le iniziative che devono essere svolte e il tempo entro il quale devono essere svolte, che prevedono la chiusura progressiva di impianti che vanno risanati, senza chiudere il ciclo di produzione, ma chiudendo progressivamente gli impianti che devono essere assoggettati al risanamento, partendo da quelli più pericolosi. Questo è impedito in questo momento.
Ora vi è la preoccupazione del Governo, devo dire, peraltro, sollecitato dalla stragrande maggioranza delle forze politiche presenti in Parlamento, dalle organizzazioni sindacali, dai rappresentanti della regione Puglia, dai rappresentanti della regione Liguria, che è particolarmente colpita nel ciclo di produzione dal blocco della produzione dell’Ilva di Taranto per gli impianti che ci sono a Genova.
Il Governo, raccogliendo queste preoccupazioni, ma anche di iniziativa diretta, sta esaminando le modalità per rendere efficace l’autorizzazione integrata ambientale e cioè fare in modo che le operazioni di risanamento prescritte dall’autorizzazione integrata ambientale possano essere effettuate e, affinché siano effettuate, bisogna superare la situazione di blocco che si è determinata negli ultimi giorni.
Stiamo lavorando su questo, avendo in mente, da un lato, che senza la realizzazione di queste operazioni la situazione ambientale di Taranto peggiora, perché lo strumento che abbiamo individuato attraverso l’autorizzazione integrata ambientale è l’unico strumento possibile per risanare.
Non ci sono altre possibilità, la chiusura degli impianti non migliora la situazione. Bisogna conoscere un poco come è il ciclo di produzione nella siderurgia, in particolare in quel centro siderurgico per avere chiaro questo punto, e, dall’altro lato, il rischio enorme di fronte al quale ci troviamo è quello che si verifichi a Taranto quello che si è verificato in altri siti industriali nel nostro Paese, che sono stati abbandonati e non sono stati gestiti, con effetti diretti sulla qualità dell’ambiente, sulla qualità delle acque, e perciò con la possibile moltiplicazione di effetti dannosi sulla salute. Non dimentichiamoci poi gli aspetti produttivi, che cosa vuol dire per il sistema e per l’industria italiana la chiusura dello stabilimento siderurgico di Taranto. C’è qualche spiritoso che dice che il Ministro dell’ambiente fa il Ministro dell’industria. Io sono Ministro di un Governo che si assume la responsabilità di avere una visione integrata dei problemi (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo), e non è possibile immaginare che si possa considerare separatamente la problematica ambientale con quella sociale e con quella economica.
Questo è contrario alla decisione presa dall’Unione europea con la strategia dello sviluppo sostenibile che lega insieme gli obiettivi della protezione dell’ambiente e gli obiettivi della crescita sostenibile della nostra economia. E dunque è veramente sorprendente che non si considerino gli effetti economici che determina l’eventuale chiusura di questo stabilimento non soltanto in termini di costi ma anche in termini di depauperamento dell’industria nazionale, dell’industria primaria che ha base soprattutto a Taranto, delle lavorazioni a valle, delle lavorazioni in tutti i settori che usufruiscono delle produzioni primarie di Taranto. E poi non si può far finta di essere Alice nel paese delle meraviglie e non capire che la chiusura dello stabilimento di Taranto ha effetti positivi sui concorrenti internazionali (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo) che non usano e che non sono vincolati agli stessi limiti ambientali che noi stiamo ponendo a Taranto, perché i concorrenti che vengono dalla Cina, piuttosto che dalla Corea e piuttosto che dal Sudamerica non sono sottoposti agli stessi stringenti obiettivi ambientali ma non lo sono neanche i concorrenti europei perché noi applichiamo a Taranto per la prima volta i limiti ambientali che in Europa entreranno in vigore a partire dal 2016. Perciò chiudere l’ILVA di Taranto fa un grande favore a concorrenti internazionali che continueranno a produrre in condizioni ambientali molto peggiori di quelle che noi stiamo imponendo allo stabilimento di Taranto.
E poi c’è l’ultima cosa che va considerata, l’effetto sociale, perché immaginare che una crisi che si determinerebbe per effetto della chiusura dello stabilimento di Taranto non abbia effetti sulla qualità della vita e sull’ambiente è da irresponsabili. Lasciare a casa 20 mila persone, ovvero lasciare senza reddito in questo momento 20 mila famiglie italiane, la maggior parte nelle regioni del sud, vuol dire assumersi la responsabilità di conseguenze sul piano sociale che non sono stimabili. Allora nel momento in cui noi ci apprestiamo ad affrontare la situazione di Taranto abbiamo in mente la priorità della difesa della salute, la priorità della protezione dell’ambiente, la priorità della continuità produttiva dello stabilimento di Taranto e la salvaguardia di un patrimonio sociale che altrimenti verrebbe messo in grave crisi. Su questo vorrei anche aggiungere due ultime considerazioni. La prima, è stato detto che la tutela della salute non è negoziabile. Assolutamente vero.
La tutela della salute, infatti, è l’obiettivo principale delle direttive europee e delle leggi nazionali che stabiliscono i limiti alle emissioni inquinanti delle automobili, delle centrali termoelettriche, degli impianti siderurgici, della chimica, di tutte le attività. È ormai da venticinque anni che le tecnologie di produzione industriale in Europa sono stabilite sulla base degli obiettivi di protezione della salute che sono identificati a livello europeo d’accordo con l’Organizzazione mondiale della sanità. Perciò, bisogna assumere come criterio di riferimento che le direttive europee e le leggi nazionali che stabiliscono obiettivi di protezione della salute e dell’ambiente li garantiscono questi obiettivi, altrimenti noi dobbiamo aprire un altro discorso, ovvero dobbiamo assumere che le leggi nazionali e le direttive europee non sono adeguate a proteggere l’ambiente e la salute. Il rischio di questa chiave di lettura è devastante perché il sistema industriale europeo è regolato in maniera tale che la certezza dell’autorizzazione e la certezza del rispetto della legge sono fissate nel rispetto dei limiti stabiliti dalle direttive e dalle leggi nazionali. Se si assume come criterio che questi limiti non valgono perché, comunque, non tutelano abbastanza l’ambiente e la salute, allora non abbiamo più nessun riferimento ovvero, per dirla in altri termini, chi vuole investire, costruire una fabbrica, avviare un’attività produttiva, non sa qual è il riferimento al quale deve attenersi.
E questo deve essere chiaro perché l’industria automobilistica europea è stata costretta, in vent’anni, a cambiare drasticamente le tecnologie motoristiche e l’industria della raffinazione a cambiare i combustibili, con l’obiettivo di proteggere la qualità dell’ambiente e tutelare la salute delle popolazioni. Ma se qualcuno oggi assumesse che semplicemente il fatto che un’automobile circoli rappresenta un danno alla salute, questo vorrebbe dire automaticamente che noi dovremmo vietare, indipendentemente dalle leggi nazionali e dalle direttive europee, la circolazione delle automobili. In altre parole, voglio essere molto chiaro su questo: noi a Taranto stiamo difendendo la legalità. Infatti, se non riusciamo a tenere su questo punto, non c’è più nessun punto di riferimento (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo) che possa garantire la sicurezza degli investimenti e la certezza delle regole. Questo è l’impegno che noi abbiamo.
La seconda considerazione ed ultima riguarda le connessioni tra la strategia di risanamento dello stabilimento Ilva di Taranto e quella della città di Taranto. Noi abbiamo adottato un decreto-legge, che è stato convertito, che immobilizza risorse e identifica puntualmente progetti e obiettivi che devono essere realizzati nell’area di Taranto per risanare un ambiente contaminato da oltre cinquant’anni di attività produttive. Questo non ha niente a che vedere con la situazione attuale dell’Ilva e degli altri stabilimenti che sono presenti a Taranto. È un piano di risanamento che cerca di recuperare la qualità ambientale di un territorio che è stato utilizzato con criteri, almeno fino alla fine degli anni ottanta, non certamente orientati alla protezione dell’ambiente. È un’operazione complessa, importante, che abbiamo attivato d’accordo con la regione Puglia, che ha la cabina di regia di questa operazione, ma è un’operazione che non fa riferimento all’inquinamento attuale dello stabilimento di Taranto. Noi dobbiamo risanare suoli contaminati dalle diossine. L’Ilva di Taranto è stato il più grande «mietitore» europeo di diossina fino a tre anni fa, dopodiché sono intervenute le norme e le leggi e oggi le emissioni delle diossine sono al di sotto dei limiti più restrittivi stabiliti dalle regole europee, il che vuol dire che l’accumulo delle diossine nei suoli, che si verifica ancora oggi, non è il risultato delle attuali attività industriali, ma è il risultato di decenni di inquinamento.
L’operazione di risanamento che facciamo su Taranto serve a recuperare l’ambiente, dopo decenni di attività industriali che hanno fortemente contaminato e compromesso quella realtà, anche con gli effetti che sono già stati stimati sulla qualità della salute delle popolazioni. Ma è un tema diverso da quello del risanamento dell’ILVA: sono due temi urgenti, pressanti, ma non sono la stessa cosa e sovrapporli e dire, come qualche mascalzone ha scritto oggi sulla stampa (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo), che con il decreto-legge il Governo legittima gli omicidi a Taranto vuol dire semplicemente raccontare, con toni che sono al di fuori di ogni legalità e di ogni legittimità, delle storie che non servono ad affrontare la crisi ambientale di Taranto, ma che servono, in un momento così difficile, a far crescere tensione sociale e angoscia, sulla base di informazioni che sono totalmente false.
Informativa urgente del Governo sui recenti sviluppi relativi alla situazione dell’Ilva di Taranto – Intervento del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare Corrado Clini
Publicato da Segreteria, 28 Novembre 2012 alle ore 15:36
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