PrismaNews
di Alfonso Palumbo Domenica 22 Luglio 2012
Malgrado la Corte Costituzionale abbia dato il ko alla privatizzazione dell’acqua pubblica bocciando altresì l’art. 4 del provvedimento dell’ex-Tremonti, in Italia – e a Roma in specie – continua la polemica su vendita sì-vendita no di Acea.
Fra l’altro, il decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214 ha soppresso l’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, trasferendo all’Autorità per l’Energia elettrica e il Gas “le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici”. Regolazione che si riferisce alla fornitura dei servizi e che mira a dare agli utenti servizi efficienti, con livelli di qualità almeno pari a predefiniti ‘standard minimi’, nel rispetto dell’equilibrio economico e finanziario del gestore.
Di tuto ciò parliamo con Aurelio Misiti, docente di ingegneria civile e ambientale, autore di oltre cento pubblicazioni di Idraulica, un passato che lo ha visto fra l’altro presidente di Acea e del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e con un presente politico che lo vede capo della colazione Grande Sud-Ppa e vicario del Gruppo Misto della Camera.
E allora: servizi pubblici locali, privatizzare o no? “Privatizzare sì ma a patto che vi sia un controllo pubblico. Vero. Perché è notorio che a volte il pubblico eviti di fare ciò che gli tocca per mandato”.
In tema di acqua, ciò che dovrebbe far preoccupare di più i consumatori cosa dovrebbe essere: la qualità dell’acqua potabile? Le perdite di rete? La mancanza d’acqua nel periodo estivo? “Problemi che a Roma non si registrano… No, nessuno dei tre eventi che lei enuncia. Ciò che in realtà deve far preoccupare sono gli uomini! Perché i problemi tecnici sono risolvibili, mentre quindi si parla di uomini… ovviamente mi riferisco alla generalità dei ruoli svolti, da utenti o da gestori”.
Ok privatizzare ma il referendum del giugno 2011? E comunque: ad Arezzo il privato ha combinato cose irriferibili, a Montecatini pare vi sia stata una sorta di rivolta da parte di molti hotel. Nella cittadina termale l’aumento in bolletta è stato del 120% circa! Mentre in altre zone d’Italia si paga stralciando la voce ‘remunerazione del capitale investito’. “A Montecatini protestano: ma, mi chiedo, lo fanno perché prima non pagavano? Il fatto è che ora pagheranno 1,50 euro a metro cubo mentre prima pagavano 0,50… Chi si lamenta che in Italia l’acqua costa troppo deve invece sapere che da noi si pratica il prezzo più basso in assoluto. Forse occorrerebbe ricordare a qualcuno che 1 metro cubo equivale a 1.000 litri. E pensare che c’è chi spende 1,50 euro – e forse pure di più – per bottigliette di contenuto inferiore al litro!”.
Onorevole, poche settimane fa ho seguito un seminario di AssoAmbiente in cui si parlava di liberalizzazione dei servizi idrici locali. Era presente anche Ermete Realacci (Pd) secondo il quale la scelta relativa privatizzazione sì-no deve essere ponderata caso per caso. Le domando: ma come mai un’azienda privata come Acea stenta a fare investimenti e una pubblica come l’Acquedotto Pugliese no? Non le sembra paradossale? “Palumbo: gli uomini!, torniamo alla mia prima risposta… Realacci ha detto così perché questa è la posizione alla quale è giunto, ma non era la sua di partenza. Occorre in ogni caso intendersi sui concetti: chi è ‘Privato’? Non dobbiamo riferirci alla figura dell’imprenditore che gestisce ma dobbiamo guardare alla gestione nel suo svolgersi… Voglio dire: dobbiamo guardare alla ‘gestione privatistica’ e non alla figura del privato monopolista che, fra l’altro, è pure una scelta stupida”.
Dalla Toscana alla Calabria. ‘Sorical’ possiamo valutarlo un esempio positivo? C’è chi afferma che aveva tentato di coinvolgere un’Azienda francese che però in eredità ha lasciato debiti per milioni di euro… “C’ero io in Calabria alla guida dell’assessorato ai Lavori Pubblici quando si decise di dar vita a Sorical. Era il periodo 2000-2003, prima della Giunta Loiero, e quel bando fu vinto da Enel. Accadde poi che Enel vendette ai francesi di Veolia… Ma il buco di cui parliamo non fu però imputabile a loro bensì ai Comuni che non pagavano! Sorical va in liquidazione a causa della morosità delle Amministrazioni locali che, allora come oggi, dicevano che l’acqua costava troppo, che il prezzo di 1 euro non era sopportabile. Conosco bene i fatti anche perchè AD di Sorical era un mio ex-allievo dell’università, l’ing. Maurizio Del Re”.
Bè, lei è stato – ed è – un luminare della materia… Ha formato un sacco di tecnici all’università. “… Come ad esempio l’ing. Biagio Eramo che era alla guida di Ato2 ed ora sta in Acea. O come l’ing. Marco Ranieri, adesso all’Acquedotto Pugliese”.
A proposito di Acea. Il Consiglio di Stato ne ha bloccato la vendita; il Centrodestra però vuole vendere, le associazioni dei cittadini si oppongono mentre il Pd non si capisce bene cosa voglia. La sua opinione? “Il Pd afferma che si deve vendere solo se ne vale la pena. Personalmente parla per me la mia esperienza in Acea, dove per cinque anni ho gestito con un criterio privatistico un’Azienda pubblica. Come la penso l’ho già detto, ma vorrei ricordare che con me Acea quadruplicò gli utili, nel 1987 la lasciai con ben 107 miliardi di vecchie lire. Non solo: fu con me che entrò nel settore dell’ambiente, fui io a dare vita al teleriscaldamento… sistema che a Brescia andò a regime solo dopo la sua realizzazione qui a Roma. Dopo che andai via, esattamente tre mesi dopo – e lo dico con dispiacere – chi mi precedette venne arrestato… Anche se le accuse mosse al nuovo presidente vennero avanzate per fatti accaduti quando egli era al vertice di Atac!”.
Mi ripeto anche io: lei è un cattedratico! Il suo nome resta legato alla Circumlacuale di Bracciano… “Non solo a quella. Ad esempio all’impianto di depurazione di Anguillara, alla Circumlaziale di Bolsena, alle stesse fognature di Bracciano e al suo impianto di ionizzazione dell’acqua potabile… Non lo dico per vantarmi, enuncio solo un dato oggettivo: i venti serbatoi che prima Roma non aveva e senza dei quali poteva anche andare incontro a sospensione del servizio. Rammento la lettera che scrissi all’ex-Presidente del Consiglio Goria, al quale sollecitavo i finanziamenti per la realizzazione dell’opera. Mi rispose che potevamo sopperire ricorrendo alle autobotti. Io ribattei, sempre per iscritto, che per dissetare Roma occorrevano tante autobotti quanto la distanza fra Cuneo e Trapani. Andò a finire che i finanziamenti arrivarono… 90 miliardi!”.
Onorevole, un testo di Federutility (le aziende private legate ai servizi pubblici locali) afferma che i fanghi di acquedotto possono essere impiegati in agricoltura, con vantaggi e risparmi per tutti. “No, non sono d’accordo. Qualora fosse avviato un trattamento del genere, i costi sarebbero superiori ai benefici. Meglio allora che vadano smaltiti in discarica”.
Mi aggancio alla parola ‘discarica’ per porle l’ultima domanda. Personalmente ho una sensazione, che tuttavia non so spiegare e per la quale le chiedo un giudizio. Può essere che a Roma il caso di Acea sia legato – indirettamente o meno – alla discarica di Malagrotta? Nel senso: può essere che il destino dell’una dipenda da quello dell’altra? “No, non è così. La faccenda di Acea è di ben più vasta portata, l’Azienda sconta ancora adesso la scelta sballata di Tatò che all’epoca la fece entrare nel settore della telefonia. Quanto all’oggi, mi ricollego al suo riferimento ai fanghi… Malagrotta ha smaltito i fanghi di Roma, per mesi smaltì pure quelli della stessa Acea. Insieme con il sindaco dell’epoca, Ugo Vetere, fondammo l’AMNU (ora AMA) proprio per arginare quel problema; e devo sinceramente affermare che il comportamento di Manlio Cerroni (titolare della discarica – N.d.R.) fu esemplare, venendoci incontro e aiutando la città nello smaltimento”.