Intervento in Aula dell'On. Misiti sul tema Alitalia

(Seduta n. 11 di giovedì 29 maggio 2008)

Discussione del disegno di legge: S. 4 – Conversione in legge del decreto-legge 23 aprile 2008, n. 80, recante misure urgenti per assicurare il pubblico servizio di trasporto aereo (Approvato dal Senato)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, sono un po’ turbato nell’intervenire sull’argomento in esame perché da tanto tempo seguo la vicenda: la crisi della nostra compagnia di bandiera viene da lontano, veramente da lontano.
La mia preoccupazione è che non vi sia stata, almeno negli ultimi undici anni, alcuna inversione di tendenza.
In questi undici anni la nostra compagnia di bandiera ha chiuso il bilancio in attivo soltanto due volte e, quindi, la mia preoccupazione è che si vada lentamente verso il «disastro». Inoltre, devo constatare che, nonostante il nuovo Governo e la nuova maggioranza siano composti da pochi partiti (come pure l’opposizione e il nuovo Parlamento da pochi gruppi), il centrodestra, con due partiti soltanto, ha una posizione diversificata sull’argomento. Per esempio, il relatore afferma chiaramente che Malpensa e Alitalia sono due questioni diverse che occorre separare, mentre la Lega le mantiene strettamente collegate. Si tratta di una contraddizione che secondo me comporterà delle conseguenze, come sempre accade.
Tali conseguenze risiedono nel fatto che, in fondo, la politica di partito si intromette sempre nel mercato e nella gestione di una grande azienda che è stata, ed è ancora, un punto di riferimento per milioni di italiani, soprattutto all’estero.
L’onorevole Crosio diceva che il Governo si deve impegnare a sviluppare il mercato, ma si deve rilevare che il mercato dei passeggeri italiani costituisce il secondo mercato europeo con 82 milioni di passeggeri nello scorso anno. Siamo, dopo la Germania, il più grande mercato europeo – è un fatto che dobbiamo tenere in mente – ma l’unico dei quattro grandi Paesi dell’Europa ad avere oggi, a distanza di sette o otto anni da quando un’altra compagnia era in difficoltà, una compagnia che arranca e rischia di finire in amministrazione controllata.
Alitalia trasporta circa 25 milioni di passeggeri l’anno, a fronte degli 82 milioni di passeggeri del mercato italiano. Gli altri grandi Paesi, l’Inghilterra con la British Airways, la Germania con Lufthansa e la Francia con Air France, trasportano almeno dal 70 all’80 per cento del proprio mercato.
La crisi dipende solo da Alitalia, cioè dal personale, dai piloti, dal personale di ruolo? Io credo che dipenda dal contesto più generale, dal «sistema Italia» che non riesce a reggere il confronto con gli altri Paesi europei moderni. Air France – sono d’accordo su questo – ha accusato una grave crisi, simile a quella di Alitalia nel periodo in cui quest’ultima, invece, era forte. Ebbene, in tale periodo Air France è stata gestita dallo Stato francese ed ha ottenuto non 3 miliardi di euro come Alitalia in undici anni, ma cifre ben maggiori.
Tuttavia, essendo la Francia uno Stato moderno e avendo una classe dirigente diversa dalla nostra, sia politica, sia amministrativa, ha posto al vertice della società un management di grande livello nel periodo in cui questa era a maggioranza pubblica ed usufruiva del finanziamento dello Stato.
Ciò ha permesso la rinascita: 14 miliardi di euro immessi in quella occasione hanno portato a livello attuale Air France, che ha cominciato a privatizzare ed è riuscita a diventare un’azienda leader, mentre in quegli anni era la metà di Alitalia.
Alitalia è stata anche sfortunata perché la crisi peggiore l’ha avuta in questo periodo, quando c’era una campagna elettorale politica. Ha subito anche questo trauma. Ma, in genere, quando un’azienda si ammala, quando un ente non va bene, si va a vedere perché, si approfondiscono le cause e chi ha la responsabilità interviene. Lo Stato, che prima era azionista di maggioranza, ora è di maggioranza relativa, non è mai intervenuto. Possibile che si sia sempre intervenuto tagliando il personale fondamentale, quello addetto alla manutenzione, il personale di volo, e non si è mai pensato che in fondo è il management, il gruppo dirigente della società che dovrebbe lasciare immediatamente, mettersi la giacca e andare via? In altri Paesi se ne vanno via da soli.
In questo caso quando la società ha perso meno di quello che era preventivato si è dato il bonus. Si è perduto, non so, il 35 per cento di quanto si pensava di perdere? Si sono premiati. Più o meno c’è un grande dirigente ogni trenta dipendenti. Abbiamo addirittura sostituito un amministratore delegato, negli ultimi anni, che aveva portato l’Alitalia a quel disastro concedendogli un premio enorme. Quando c’è una società in dissesto l’amministratore delegato non solo se ne deve andare, ma deve pagare i danni! In questo caso l’abbiamo addirittura premiato. Abbiamo fatto lo stesso, per la verità, anche con le ferrovie, dove tutto lo Stato paga, che sono in perdita: noi, per un anno e mezzo di amministrazione, all’amministratore delegato paghiamo diversi milioni di euro di buonuscita.
È il «sistema Italia» che evidentemente non va bene, perché il disastro che i dirigenti adducono come causa non è l’unica; certo, il 2001 è stato un anno terribile per tutte le compagnie, e certamente l’Alitalia, che già cominciava a non andar bene, ha avuto una scossa. Ma non è questa la sola causa: è stata la scelta del doppio hub ad essere davvero la causa rovinosa.
Caro amico della Lega Nord, è vero che in Lombardia c’è un numero di oltre 40 milioni di passeggeri sul totale di 82, ma è anche vero che ci sono sette aeroporti che fanno concorrenza a Malpensa. Solo l’8 per cento dei milanesi va a Malpensa. Quando, come Paese, non siamo riusciti a fare in modo che a Linate rimanesse solo la navetta per Roma, mentre è diventato un aeroporto che faceva concorrenza a Malpensa, poi non ci possiamo lamentare che Malpensa non andasse bene. Malpensa andava bene, perché vi trasferivano i passeggeri del sud che partivano per l’America e per il nord (Commenti del deputato Volpi). Basta vedere la relazione tecnica su questo punto.
Allora è evidente che i sette aeroporti crescono: Venezia, Bergamo, Bologna, Caselle. Perché da Bologna o da Venezia dovrebbero andare a Malpensa per partire per l’Oceania o per le Americhe del nord e del sud?
Prendono un aereo qualunque (adesso si sono liberati i cieli non solo in Europa, ma anche nel mondo, in America e tra l’America e l’Europa) della Lufthansa, British oppure Air France, e vanno dove vogliono.
Air France continua ad avere aiuti di Stato. Non è vero che non li riceve più. Air France riceve fondi e viene sovvenzionata per tutti i voli diretti verso i territori d’oltremare.
Senza considerare le compagnie low cost, e capirete perché parlo del «sistema Italia». Le low cost solo in Italia hanno la libertà di fare ciò che vogliono: atterrano a Ciampino, a Linate, dove gli pare. Se, però, andate a Barcellona con una compagnia low cost, come Ryanair, che noi paghiamo con aiuti di Stato, atterrate sui Pirenei, a cento chilometri da Barcellona. Quindi, è una presa in giro il fatto che costano meno. Oppure provate ad andare a Londra e non atterrerete certo a Heathrow o a Gatwick, ma a Luton, a 120 di chilometri di distanza. Noi invece le facciamo atterrare negli aeroporti principali, anzi le stesse compagnie hanno chiesto Fiumicino e a Milano succede la stessa cosa.
Allora, questo sistema Paese va difeso. Ryanair, per esempio, ha molti piloti dipendenti italiani assunti in Lussemburgo, che sono lavoratori in nero, e noi non diciamo nulla. Ripeto: lavorano in Italia come lavoratori in nero. È ovvio, quindi, che questa compagnia va avanti bene.
Gli aeroporti italiani non le fanno pagare nulla, anzi pagano Ryanair e le altre società di questo tipo. Per andare a Londra da una qualunque città italiana – ne posso citare quattro o cinque – l’aeroporto paga. Il bilancio dell’aeroporto è territoriale – in genere gli aeroporti sono regionali o pagati dai comuni – e noi paghiamo Ryanair.
Alitalia si è trovata in campagna elettorale proprio nel momento in cui si stava operando la scelta del partner, scelta che viene da lontano quando Alitalia era forte.
Un tempo è stata tentata la fusione con KLM, quando questa compagnia non versava in buone condizioni e noi eravamo molto più forti. Il «sistema Italia» ha impedito anche questo. L’intromissione della politica ha impedito quella fusione, tanto che, dato che quelle sono persone che dicono le cose chiaramente, ad un certo punto hanno preferito pagare 250 miliardi di penale e andarsene.
Lo stesso ha fatto poi Air France, dopo che, in qualche misura, aveva cominciato ad avviare un processo di fusione con Alitalia, con scambio del 2 per cento delle quote e con la presenza dei rispettivi amministratori delegati nei propri consigli d’amministrazione. Però, abbiamo molti lacciuoli e non sappiamo individuare le responsabilità.
Una responsabilità, però, l’abbiamo individuata. La trattativa con Air France – come diceva l’amico Boccia – era l’unica offerta che veniva dal mercato italiano (adesso sono tutti contro i «mercatisti»). Il mercato aveva dato questo risultato in un concorso libero. Ebbene, in quel momento si è detto «no», perché si affermava che vi fosse l’italianità da salvaguardare. Questa è una responsabilità precisa.
D’altra parte, Air France, vista la situazione e i profondi disaccordi in Italia, ha ritenuto preferibile avere il benestare dal Governo che avrebbe vinto le elezioni prima di andare avanti. E il Governo che ha vinto le elezioni ha detto «no», assumendosi una grandissima responsabilità, perché quel «no» è pesantissimo. Poi ha cercato di vedere come fosse possibile recuperare. Ha trattato con il Governo in carica, affermando che altrimenti le cose sarebbero andate male per la compagnia e ha chiesto perentoriamente 300 milioni di euro, un prestito ponte, perché sosteneva di avere una cordata italiana che potesse sostituire Air France.
Questa è stata la questione e noi lo sappiamo. Queste questioni sono chiarissime, basta rileggere gli articoli di stampa e riascoltare i servizi televisivi di quel momento. L’Alitalia è stata sfortunata perché si è trovata nel momento del cambio di legislatura. Con altri tre o quattro mesi dello stesso Governo Prodi si sarebbe avuto il completamento di questa vicenda e saremo oggi in una condizione completamente diversa. Più i giorni passavano e maggiormente peggiorava la situazione, abbiamo impiegato molto tempo per affrontare la vicenda perché in Italia ci sono tanti lacci e lacciuoli e l’offerta iniziale di 0,9 euro ad azione è arrivata a 0,35 perché l’Alitalia, nel frattempo, comprometteva la sua credibilità.
I trasferimenti da Malpensa a Fiumicino – in questo non concordo con il relatore – non hanno determinato l’aumento delle perdite, tutt’altro. Il problema è un altro. Il problema è che la credibilità di Alitalia sul mercato dei passeggeri è crollata. Se vi è qualcuno che si intende di queste questioni – non dico tanto, ma almeno per sentito dire come i tour operator – sa che nessuno prenota per l’estate prossima. Le prenotazioni che vengono effettuate ora sono quelle per l’estate, per le ferie imminenti in Italia e all’estero. Chi si fida di un’azienda che potrebbe andare in crisi come è avvenuto per tante altre piccole aziende italiane ad estere? Si va, quindi, sul sicuro, ci si affida alle compagnie stabili. È chiaro che la diminuzione dei voli internazionali non è dovuta al fatto che i cittadini della Val Padana prendevano altri vettori perché ciò avveniva già prima. I passeggeri che passavano per Malpensa erano i meridionali. È chiaro che non c’entra nulla questa questione. C’entra la scarsa credibilità che ha avuto il vettore in questi ultimi tre o quattro mesi. È ovvio che è necessario e indispensabile per il bene di Malpensa e della stessa compagnia di bandiera separare le due questioni.
Sugli aspetti finanziari della vicenda interverrà il collega Favia, ma io voglio sottolineare che abbiamo detto «no» con dispiacere a questo provvedimento perché non sappiamo su cosa ci dobbiamo pronunciare oggi. Esiste un decreto che prevede un prestito-ponte – di quello stiamo discutendo – che non è valido più, perché esiste un altro decreto che prevede un’altra cosa. Perché devo votare questo decreto se ne esiste un altro? Stiamo discutendo di un provvedimento che, allorché domani arriverà in discussione l’altro, mi costringerà ad affermare di essermi sbagliato: questi 300 milioni che prima erano restituibili adesso non sono più restituibili e andranno al patrimonio. Ma sono tutti e due validi o no? Che cosa sono oggi, in questo momento, a quest’ora, i 300 milioni? Sono un prestito-ponte o sono un pezzo del patrimonio dell’Alitalia? Tutti e due i provvedimenti sono vigenti e per questo io non so di cosa stiamo parlando. Tanto valeva, forse, ritirare il primo decreto per presentare delle proposte emendative al nuovo e affermare: partiamo dal nuovo e lasciamo perdere questo. Si tratta di una presa in giro e come fa l’onorevole Boccia, ci domandiamo: ma da dove si sono presi questi soldi?
Successivamente parleremo anche della questione dell’ICI dove si è svuotato l’investimento infrastrutturale del Mezzogiorno, (1,3 miliardi di euro) destinato alle infrastrutture per le regioni Calabria e Sicilia (le due regioni povere dove afferma l’ISTAT la popolazione guadagna un terzo di quella del milanese dove abita l’onorevole Crosio) ed è stato destinato a spesa corrente.
Questo è quanto dobbiamo avallare. Io sono certo che gli italiani ci vedono e ci giudicheranno, e ritengo che la questione vada affrontata in termini un tantino diversi da quelli con i quali la si sta affrontando adesso. Pertanto noi non possiamo approvare un provvedimento di questo genere. Ritengo che questo decreto-legge non abbia alcuna ragione di essere. Occupiamoci allora dell’altro provvedimento, nei confronti del quale, al momento della discussione in Assemblea saremo degli osservatori ed anche dei censori – se vi sarà necessità – soprattutto in materia di finanziamento. Si potrebbe verificare infatti l’eliminazione di investimenti a favore delle piccole aziende, queste sì produttive, sia della Valle Padana sia di tutto il Paese, che verrebbero sacrificate per realizzare questo piccolo investimento patrimoniale. Di questo si tratta perché in merito al decreto-legge di oggi è come se non ci fosse una compagnia. Inoltre il Governo, azionista di maggioranza, non ci informa in modo completo per cui noi dobbiamo decidere a scatola chiusa.
Forse oggi con l’euro si può pensare che si tratti di una piccola cifra, ma in realtà stiamo parlando di 600 miliardi di lire – ci saremmo spaventati di più se la cifra fosse stata indicata in lire – appartenenti a cittadini, che vengono messi in un calderone e non sappiamo per quale fine, perché il Governo ancora non è in grado di dircelo. Prendo atto con soddisfazione che la nostra pressione – quella da parte dell’Italia dei Valori, del Partito Democratico e dell’UdC ha fatto sì che il Governo si decidesse a venire a riferire in Parlamento il 18 giugno prossimo sul futuro di Alitalia. Ma noi prima di dare 600 miliardi dovremmo sapere perché li diamo, qual è il progetto e che cosa vogliamo fare. Dobbiamo sapere se vogliamo rilanciarla, se la vogliamo commissariare, se vogliamo metterla di nuovo sul mercato, riniziando la procedura. Diteci cosa volete fare! Se è tutto nascosto, e se ancora non si sa nulla, e se ancora vengono richieste altre compensazioni da quelli che devono entrare nella cordata – come è accaduto ieri – allora ce lo dovete dire.
Noi qui non stiamo ad occhi chiusi, quindi non si può votare a favore del decreto-legge in esame, anche se – come ho detto all’inizio – sono molto turbato e molto preoccupato per i ventimila dipendenti di Alitalia. Se andate a vedere il rapporto tra dipendenti, di volo e di terra, rispetto alla stessa Air France si riscontra che l’Alitalia appare sbilanciata in un senso. Perché l’Air France intendeva cambiare piloti ed altro? Perché voleva metterci i francesi. Era questo il punto. E doveva anche aumentare il personale. Air France, lo ricordo, trasporta 75 milioni di passeggeri mentre Alitalia 24. Il rapporto riguarda 11 mila o al massimo 18 mila dipendenti di Alitalia, contro i 105 mila di Air France; eppure quest’ultima è un’organizzazione che rende utili, mentre l’Alitalia è gestita sempre con metodi per i quali paga sempre «Pantalone».
Su questo sono d’accordo con l’onorevole Crosio, perché questi signori – dirigenti e amministratori di Alitalia, compreso però qualcuno dei vostri che oggi gestisce Malpensa e Linate – erano abituati al fatto che tanto paga «Pantalone»: se perdiamo o se non perdiamo, tanto il bonus ce lo diamo.



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