Gazzetta del Sud
Molti osservatori ritengono che il congresso dell’UDC, in corso a Roma, sancirà la scelta strategica
dell’autonomia da Berlusconi e nello stesso tempo renderà ufficiale la vocazione del suo leader di diventare l’ago della bilancia del sistema politico italiano.
Essi dicono che Pier Ferdinando Casini deve molto alla scelta coraggiosa del suo vecchio amico Marco Follini.
L’onorevole di “Italia di Mezzo”, lavorando in un primo tempo insieme al collega Bruno Tabacci, sta percorrendo da solo una via che, per necessità e convenienza, non può non trascinare l’insieme nel suo vecchio partito. La rondine Giovanardi infatti non può far primavera; i numeri danno ragione al sempre giovane Pier Ferdinando, che non si vuol fare scippare il partito dall’amico Marco.
I sondaggi EKMA del 5 aprile ultimo scorso assegnano al partito UDC una parte piccola ma importante, tanto da consentire a questa formazione di poter recitare una parte simile a quella esercitata dalla vecchia Democrazia Cristiana.
Sostanzialmente Centro-Sinistra e Centro-Destra si dividono a metà il 90% dell’elettorato; Casini è azionista del 7,5% e pertanto possiede il pacchetto che determina la maggioranza.
Il Governo, se l’UDC vuole, sarà di Centro-Destra; sarà di Centro-Sinistra se Casini ordina il menù e apparecchia la tavola.
Sono inutili le minacce di Mastella, le cordate dei piccoli partiti, l’arroganza dell’Ulivo: è l’UDC che possiede il banco e dà le carte.
Infatti il quadro al cinque aprile è il seguente: Centro-Sinistra (con il partito di Di Pietro al 4,7%) al 45%, Centro-Destra al 46,5%; l’UDC al 7,5%.
Se il quadro è questo – pensa Casini – si potrebbe finalmente trovare una buona soluzione per il Paese, uscito con grande voglia di cambiamento dal ventennio fascista, da quello doppiamente lungo democristiano, dal quindicennio post-tangentopoli.
Egli può affermare con forza al congresso del suo partito che, passata la sbornia maggioritaria, di certo non risolutiva per i più drammatici problemi del Paese, ci si può incamminare su un sentiero meno impervio: quello del ritorno della palla al centro; egli è convinto infatti che il Paese si aspetta proprio questo cambiamento.
A tale posizione politica saranno dedicate feroci critiche ; gli attaccanti però – egli potrebbe sostenere – non meritano attenzione: si tratta infatti delle stesse persone che, con arroganza e con scarsa cultura politica, si cimentano in una esercitazione per costituire il così detto partito democratico, unificando due vere e proprie oligarchie di potere.
Nel recente passato, notano alcuni, il popolo del Centro-Sinistra ha creduto ingenuamente di poter costruire dal basso la nuova formazione politica. Niente da fare: sarà Ulivo e basta, così in alto è stato deciso.
Dalla parte opposta, Berlusconi vagheggia il partito unico del Centro-Destra e non ammette alcun proposito democraticista. Il partito unico fallisce ed egli si trova a constatre una crisi profonda della Casa delle Libertà.
Questi due episodi per il nostro uomo di vasta cultura della vecchia DC dimostrano una verità: in politica le scorciatoie portano sempre verso il burrone.
Per il Centro-Sinistra i sondaggi sono impietosi. Certo, c’è stata la severa Finanziaria, la nuova politica estera, i rapimenti terroristici, le trattative poco accorte per liberare i rapiti, ma il crollo di popolarità della maggioranza è sotto gli occhi di tutti.
Tuttavia conviene a Prodi ma anche a Berlusconi, se vogliono recuperare, di proseguire con saggezza a governare l’Italia, ciascuno nel proprio ruolo, assegnato per cinque anni dall’elettorato.
Non si possono sfidare le forze della natura, né la pazienza del popolo, che è stufo di votare ogni anno solare; è buona prassi invece costruire la normalità senza colpi di testa dettati sempre da interessi di parte.
I due leader, se non vogliono cadere nella vecchia trappola democristiana, dovranno fare buon viso a cattivo gioco e scegliere quel che unisce, ripudiando quel che divide.
on. Aurelio Misiti
deputato di Italia dei Valori
www.aureliomisiti.it